Cessione del credito no, Direttiva Casa Green si. Ma quanto ci costa?

Cessione del credito no, Direttiva Casa Green si. Ma quanto ci costa?

L’Eurocamera dà il via libera alla Direttiva Casa Green che impone di far salire la classe energetica degli edifici residenziali e non.  Ma con lo stop della cessione del credito sconto in fattura i costi ricadono sui contribuenti e sugli imprenditori. Ecco il punto della situazione

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Sempre più spesso l‘Europarlamento è chiamato a votare su politiche per l’ambiente dal forte peso ideologico. Ieri ad esempio, il Parlamento europeo ha approvato la cosiddetta Direttiva Casa “Green” che, se qualora il Consiglio Europeo accettasse senza modifiche, imporrebbe a case ed edifici non residenziali (pubblici e non) di effettuare interventi di efficientamento energetico.

Quello qui sopra descritto ci potrebbe apparire, ad una lettura superficiale della situazione, un ottimo traguardo raggiunto. E’ evidente come l’esigenza di portare avanti ancora più decisamente la transizione ecologica abbattendo drasticamente le emissioni di gas inquinanti non possa più essere rimandata. Sicuramente la Direttiva Casa Green potrà contribuire a far raggiungere gli obiettivi di decarbonizzazione in maniera più veloce ed efficace,

Tuttavia ci sono delle ombre, nemmeno piuttosto piccole, che sembrano oscurare l’obiettivo individuato dalla direttiva. Se entro il 2033 almeno 2.000.000 di edifici in Italia dovranno sostenere interventi di riqualificazione energetica, rimane infatti da chiarire chi dovrà sborsare i soldi per sostenerli. Inoltre c’è anche da analizzare quali effetti potrebbe produrre sull’economia una simile corsa all’efficientamento energetico.

In questo momento infatti, la Direttiva Casa Green, imporrebbe ai singoli cittadini possessori degli edifici residenziali o imprenditoriali di sostenere questi interventi. Non solo. La scadenza temporale significa che chi non sosterrà questi interventi potrebbe trovarsi nel 2033 con un edificio sulle spalle dal valore sensibilmente ridotto rispetto a quello attuale. A complicare le cose c’è anche il blocco dello sconto in fattura e della cessione del credito (ne parliamo qui).

In questo articolo cerchiamo di fare il punto della situazione spiegando perché, dietro alle buone intenzioni, si nasconde un rischio grandissimo per il nostro paese per le nostre tasche.

Cosa prevede la nuova direttiva “case green”?

Secondo la Direttiva Europea “Case green” gli stati Stati membri dell’UE saranno chiamati a dare una decisa sterzata verso la sostenibilità nel settore delle costruzioni nei prossimi anni. I presupposti di tutto ciò sono dati dal fatto che ogni edificio oggi può essere classificato secondo una classe energetica che misura il suo impatto ambientale. Tale classifica va da A, meno impattante, a G, più impattante.

Tuttavia, fra i vari paesi membri dell’Europa, non  c’è una uniformità di criteri per individuare la classe energetica degli edifici tra i vari paesi europei. In altre parole, la classe G italiana, non corrisponde ad esempio a quella della Romania o della Polonia. Questi paesi infatti molto probabilmente dovranno sostenere spese molto minori per riqualificare i loro edifici per portarli ad un grado maggiore pur partendo da un livello di efficienza più basso.

La direttiva casa green stabilisce che gli edifici residenziali dovrebbero raggiungere almeno la classe di prestazione energetica E entro il 2030 e D entro il 2033. Come se non bastasse, ogni nuovo edificio, anche quelli industriali, dovrà essere realizzato a emissioni zero a partire dal 2028 se costruito da privati. La scadenza di questa norma è invece fissata al 2026 se costruito per fini pubblici. 

Ci preme quindi sottolineare due aspetti che riguardano queste ultime diposizioni:

  • la strettezza dei tempi previsti per l’adeguamento alla direttiva, soprattutto per i nuovi edifici pubblici e privati o imprenditoriali,
  • i costi che questo potrebbe riservare agli italiani.

Quanto costa la follia delle case green?

A realizzare una stima dei costi che l’Italia dovrebbe sostenere se la “Direttiva casa green” fosse approvata così come è passata al parlamento Europeo ci ha pensato Ance (Associazione Nazionale dei Costruttori Edili). La spesa per le ristrutturazioni “green” della casa ammonta ad una cifra compresa tra 40-60 miliardi di euro. E questa effettuata da Ance è una stima prudenziale che non tiene conto dei probabili rialzi dei prezzi del settore edilizio.

Ance ha poi anche stimato il numero di immobili che servirà ristrutturare è di circa 230.000 tra edifici pubblici e non residenziali. A questi vanno aggiunti gli oltre 1,8 milioni di edifici residenziali privati. In altre parole è come dire che fino al 2033, dovranno essere ultimati oltre 200.000 interventi di efficientamento energetico ogni anno. Tutto questo per portare a una classe energetica di E entro il 2030 e D entro il 2033 gli oltre 2 milioni di immobili interessati.

Qual’ è il rischio più grande della Direttiva Casa Green?

La vera minaccia portata dalla Direttiva Casa Green non sta nell’enorme quantità di interventi da effettuare o nei costi da sostenere per effettuarli. Sta nell’inevitabili svalutazione degli immobili cui si andrà incontro qualora questi immobili non vengano riqualificati energeticamente. 

La svalutazione di questi edifici di fatto colpirebbe duramente il portafoglio degli italiani visto che la maggior parte di loro ha utilizzato i propri risparmi per investire nel “mattone”. Mattone che adesso rischierebbe un forte deprezzamento e quindi di far volatilizzare questi risparmi.

In altre parole, o si sostengono le spese necessarie per far salire di classe energetica casa propria con i nostri soldi, o la casa in cui viviamo subirà un crollo del proprio valore.

Le previsioni di ANCE

Il testo della Direttiva casa green ha diviso in due le opinioni sulle tempistiche entro cui effettuarla. C’è chi sostiene la necessità di accelerare i tempi della riqualificazione degli edifici e chi invece promuove un approccio più ‘soft’.

In ogni caso l’attuazione un simile disegno presuppone un enorme piano strategico che interessa non solo il settore dell’edilizia, ma l’intera catena del valore che tali interventi richiedono (materiali, impianti, servizi, finanza). Piano strategico che però non c’è!

Serve anche un sistema efficiente di cessione dei crediti fiscali (anche per percentuali inferiori al 110%). Tale meccanismo infatti non può mettere in discussione, la monetizzazione dei lavori eseguiti, con il risultato di bloccare qualsiasi ulteriore decisione di investimento. Per fortuna,  la decisione di Eurostat va in questo senso dal momento che secondo l’ente, i crediti fiscali devono essere considerati come debito pubblico e quindi possono essere spalmati su più anni.

La partita decisiva si combatterà al Consiglio Europeo. Sarà infatti quest’ultimo, nei prossimi mesi, a decidere se vidimare la decisione della Commissione o proporre emendamenti.

Conclusioni

L’efficientamento energetico degli edifici è un obiettivo condivisibile e di fondamentale importanza. Tuttavia tale obiettivo non può essere perseguito sulla pelle dei cittadini. In queste condizioni infatti, le spese per l’efficientamento energetico saranno a carico dei cittadini. Costoro dovrebbero farsi carico di esborsi ingenti per ottemperare agli obblighi della direttiva. I costi del materiale edilizio, ma non solo questi, che in questo momento sono sensibilmente più alti rispetto a qualche anno fa grazie al Superbonus, potrebbero infatti ulteriormente aumentare.

Notiamo ancora una volta che quando si parla di transizione energetica, l’Unione Europea, ha la tendenza di mettere il carro davanti ai buoi. Non si ragiona in termini di percorsi fatti di obiettivi da raggiungere organizzati in base a priorità, ma si individua l’obiettivo finale senza avere idea di come raggiungerlo. E questo è molto pericoloso da un punto di vista economico, per i singoli paesi ma anche per tutti i cittadini ed imprenditori europei.

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